Un autobus di 10 ore he impazza
attraverso una unica strada perennemente diritta e non asfaltata. La stessa che percorre tutto
il percorso attraverso il centro ed il sud della Bolivia, fino a tuffarsi in
mare dopo aver attraversato Atacama ed il Cile. Decidiamo che il Salar De Uyuni
è una delle cose che vogliamo mettere nel ns album fotografico ed in quello dei
ns ricordi. Non appena si scende, non si può non rendersi conto dell’atmosfera
da veri esploratori dalla quale si viene asaliti. Pochi turisti e decine di
Toyota 4x4 che si riforniscono di ogni qualsiasi cosa serva per attraversare il
deserto ed accamparsi per diversi giorni. In realtà qui tutto gira attorno alle
agenzie di tutto il mondo che mettono i turisti su delle jeep per 3 giorni e 2
notti con la promessa di dar loro la possibilità di catturare in camera
l’effetto “reflection” (v. foto). La cosa viene resa ancor più interessante dal
fatto che per circa la metà percorso, si seguiranno le medesime vie della nuova
“Dakar”.
La meraviglia è unica alla prima
vista del salar. 23 metri di profondita per non so quante migliaia di
superficie. Mi sento come un bimbo che va al lunapark per la prima volta. La
sensazione è quella di camminare sulla luna, in un mondo differente e lontano
da tutto ciò che siamo abituati a vedere. La sorpresa è resa ancora più
piacevole dal fatto che parlando con un’americana qualche settimana prima, ci
aveva riportato la sua esperienza del salar. Ce lo descriveva come niente di
speciale, dove secondo lei non valeva la pena passare del tempo. Ecco che spesso e volentieri ci guardavamo
tutti e quattro fino a che qualcuno sussurrava: Americansky!!!
Guidare sulla superficie candida
del salar è un’esperienza da provare, è un misto di cautele come se si stesse
guidando su del ghiaccio fragile e di sensazioni come se si stesse andando per
mare. Qualcosa scorre sotto le ruote ma non si ha la percezione di essere su
strada e soprattutto sembra a volte quasi di non muoversi affatto tanto tutto è
così bianco luminescente. Spesso viaggiando in questi luoghi, si è talmente
presi dal fare fotografie e commentare cose, che non ci si riserva nemmeno un
momento per se stessi. Anche solo per pensare. Credo sia stata proprio quest’esigenza
che dopo la ns prima notte passata in un piccolo villaggio disabitato e
costruito interamente di sale, mi abbia fatto svegliare quando ancora il sole
non era sorto. Vestito qualche indumento pesante ed un berrettino, mi sono
incamminato verso l’alba, in un paesaggio che incarnava la sensazione di essere
in un deserto, soli e vivi.
Al primo sentore del “forse mi
sto allontanando troppo”, mi accorgo che sono seguito da un cagnolino. Il
villaggio è lontano e quasi si confonde con le montagne, la linea dell’orizzonte
davanti a me comincia ad illuminarsi di una luce rossa come il fuoco. Decido di
sedermi in quello che per me era un deserto, ma appena trovo la tranquillità di
guardare veramente, mi accorgo di non essere solo. Con il mio nuovo amico che
sembra volermi far da spalla, scopro di essere stato seguito da un gruppo di
lama in cerca di cibo (fortuna sono erbivori), e davanti a me le più rare
Vicugne. Assomigliano a delle antilopi della savana ma non sono semplici da
avvistare e soprattutto da avvicinare. Mi sento in pace con l’ambiente, ed è
possibile che anche lui lo sia nei miei confronti, legato a questo pensiero, mi
fondo all’alba che verrà.
Se il giorno si può dire essere
ben cominciato, beh mai mi sarei immaginato di quanto la grande bellezza di
questo luogo avrebbe continuato a farmi sentire speciale e fortunato di
esserci. Lasciato il sale cominciamo ad addentrarci nel deserto di pietra, fino
al confine con il Cile. Contornati da immensi vulcani e lagune iridescenti
piene zeppe di fenicotteri, quasi viene a farci male il dito che preme sulle
nostre macchine fotografiche. Ed ancora una volta mi accorgo di come la tecnologia
ci abbia portati a volere immortalare e condividere ogni singolo momento, tanto
da farci vivere quasi immediatamente nel ricordo di quell’attimo scattato poco
prima. Ancora una volta, ripongo la mia macchinetta nello zaino, mi siedo, respiro.
Vivere il presente come non
dovesse finire mai, non è l’unica cosa da ricordare nel mentre si visitano
luoghi incredibili come questi. Infatti a volte, si finisce per dimenticare
dove siamo. Le tecnologie, la conoscenza e la macchina del turismo, fanno
sembrare questi luoghi raggiungibili da tutti. Tanto da non creare nessun senso
di pericolo o anche solamente percezione di dover prestare attenzione a
qualcosa in particolare. Ecco che spesso capita di vedere turisti che camminano
e saltellano a caccia della foto da urlo, nel bel mezzo di Geyser in piena
attività, o che vogliono fare le cose fighe e decidono di attraversare il
deserto in bici e calcolano le provviste in base ai km da percorrere pedalando….senza
considerare che più della metà del deserto è fatto di una ghiaia fine che fa
sprofondare le ruote per più di mezzo metro rendendo impossibile l’avanzamento
se non spingendo il proprio ciclo. Lo sanno bene i nostri due amici Italiani a
cui abbiamo regalato cibo ed acqua nel mezzo del niente e ad ore (di macchina)
dal primo paesino disabitato dove potersi riparare dia -15°C che qui piombano
giù appena dopo il calar del sole. Ma senza andare tanto a guardare le grandi
emozioni, ce ne sono alcune di piccole ed insignificanti, come fare una
corsetta di venti metri per vedere chi arriva prima alla macchina, che ci è
mancato poco non lasciasse Annika ed Alice vedove dei loro compiantissimi
uomini soffocati dalla mancanza di ossigeno. Prima regola del viaggiare al
salar: il tragitto si svolge tra i 2800 ed i 5200 metri di altitudine. Quindi
niente corsette e d’obbligo una borsetta di foglie secche di coca che potrete
comprare da qualsiasi fruttivendolo e che vi aiuteranno a far passare il mal di
testa da altitudine.
Nonostante siamo lontani dal mare…il
nostro motto: “ Stay salty!!!” rimane sempre un must.
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