venerdì 1 agosto 2014



Ogni volta che entro nel frigo è come se prendessi coscienza di chi sono. Le mani mi fanno male da quanto le uso e a volte le punte delle orecchie mi si gelano mentre penso a quanto tempo è passato prima che fossi pronto a riconoscere me stesso. Sono momenti nei quali è impossibile negare quanto adoro questo lavoro, nemmeno quando devo servire piatti che non amo o composizioni ridicole per la mia cultura culinaria. Dove inizialmente mi bloccavo di fronte a certe richieste, ora ci rido sopra e cerco di comporre un piatto esteticamente carino. Ogni giorno una nuova sfida ed ogni giorno un sacco di cose da imparare. La cosa a cui ancora non riesco ad abituarmi, è quando dentro e fuori il lavoro le persone che conosco ti chiamino "chef". Come se una parte di me si risvegliasse, ogni volta uno schiaffo. Un sacco di persone rispettano il nostro lavoro al di la delle incomprensioni culturali, molti entrano in cucina e si rivolgono a noi come se fossimo un'autorità in fatto di cibo. Effettivamente l'idea di essere in grado di dare da mangiare a più di duecento persone a sera senza avere nemmeno una lamentela ed anzi ricevendo richieste di foto insieme ai clienti a volte ci gratifica davvero al punto di farci capire perchè lo chef è considerato una prima donna.
Beh, tornando a noi,  l'intento di questo post era quello di raccontare una serata a dir poco tragicomica. Un paio di giorni fa, come ogni giorno, facciamo il pane, prepariamo polpette, bistecconi, e tutto quel che serve per la linea di servizio della cena. Era un tranquillissimo lunedi, metà dello staff della cucina era in giorno di riposo e fuori impazzava una tempesta di vento e pioggia. Alle 7.30 di sera avevamo sei persone sedute in sala ed eravamo praticamente seduti ad aspettare di chiudere. Spesso io, Matteo ed Alice ci mettiamo a discutere nuove ricette o a  provare differenti tagli di carne. Food never stop. Alle 7.35 il macchinino che stampa gli ordini dei camerieri sembrava un mitra. Io ricoprivo la posizione del grill, Matteo al saute ed alice Expediter, più una persona che faceva sia forno che insalate. Per un lunedi non c'era bisogno di nessun altro...pensavamo. Ad un certo punto avevo 20 differenti tagli di carne sul fuoco, la friggitrice carica di calamari come mai prima, e Matteo che mi guardava incredulo indicando i foglietti degli ordini attaccati al pass. avevamo circa 160 piatti da mandare fuori in tempo utile per non indispettire il cliente. Nell'unico momento di lucidità che ho avuto ho preso una delle decisioni forse più irresponsabili che uno chef possa prendere. Io e Matteo dovevamo concentrarci solamente sulle cose da fare e non su come impiattare, quindi ho preso Alice e l'ho fatta saltare in mezzo a noi incaricandola di fare lo chef, dandoci gli ordini delle cose da fare in senso logico ed impiattando quel che noi stavamo producendo. E' stato come un film, ogni volta che mi giravo a vedere se tutto procedeva bene vedevo scene al limite della comicità. Noi come macchine a cuocere tutto ciò che avevamo in frigo, e lei che con le conoscenze acquisite nell'ultimo mese cercava di ravvivare piatti fermi nel pass magari da dieci minuti. Mitologica fin da subito la scena in cui cercando di rigirare degli spaghetti con le polpette un po' rinsecchiti, la vedo li, con una mano dentro al piatto e l'altra che regge la polpetta. Mi guarda e mi dice: "qua e pinze son finite e io no so come fare!!! ".
Dopo qualche secondo la sento che impreca contro qualcuno: "chi cavolo è che m ha fregato la polpetta!!", ad voce alta nella cucina affollata tutto è come se si fosse un po' fermato. Con la sua mano destra che ancora rantumava dentro gli spaghetti, non si rendeva conto di avere ancora in mano la polpetta e la stava cercando per tutto il bancone.
Alle 8.30 ultimo ordine e di colpo più nessun cliente. Avevamo dato da mangiare a 203 persone in un'ora, sconvolto l'organigramma della cucina incaricando un'interprete di fare lo chef e utilizzato tutti i mezzi che avevamo per buttare fuori cibo. Considerando di avere avuto una sola lamentela per dell polpettine un po' fredde, direi che potevamo considerarci felici di come avevamo gesto la situazione.
Il giorno successivo quasi fosse un premio, il mare ci regala delle piccole ondine da nord est nel nostro giorno di riposo. Ci accaparriamo due longboard a noleggio e ce ne stiamo tutto il pomeriggio a mollo sotto il sole. Un'onda dopo l'altra ritroviamo noi stessi e quell'equilibrio che ci appartiene per natura. Mentre dirigo la tavola verso l'orizzonte in cerca di una nuova corsa , libero la mente da tutte le cose orribili che sono stato costretto a fare: la carbonara con il bacon ed i gamberetti, le linguine alla bolognese con una fetta di pesce spada per cappello, i totellini alfredo con il pollo e la mozzarella. Non so' ancora se fare surf sia per me una cura o la vera malattia. Ogni volta che salgo con i piedi su quella plancia, la mia coscienza sputa sentenze e si rivela, ed ultimamente sempre più comunica a comunicare come se questo presente fosse un'esperienza necessaria, un passaggio. Verso un sogno molto più lontano. Still travelling....