lunedì 5 gennaio 2015

Salar De Uyuni following the Dakar











Un autobus di 10 ore he impazza attraverso una unica strada perennemente diritta  e non asfaltata. La stessa che percorre tutto il percorso attraverso il centro ed il sud della Bolivia, fino a tuffarsi in mare dopo aver attraversato Atacama ed il Cile. Decidiamo che il Salar De Uyuni è una delle cose che vogliamo mettere nel ns album fotografico ed in quello dei ns ricordi. Non appena si scende, non si può non rendersi conto dell’atmosfera da veri esploratori dalla quale si viene asaliti. Pochi turisti e decine di Toyota 4x4 che si riforniscono di ogni qualsiasi cosa serva per attraversare il deserto ed accamparsi per diversi giorni. In realtà qui tutto gira attorno alle agenzie di tutto il mondo che mettono i turisti su delle jeep per 3 giorni e 2 notti con la promessa di dar loro la possibilità di catturare in camera l’effetto “reflection” (v. foto). La cosa viene resa ancor più interessante dal fatto che per circa la metà percorso, si seguiranno le medesime vie della nuova “Dakar”.
La meraviglia è unica alla prima vista del salar. 23 metri di profondita per non so quante migliaia di superficie. Mi sento come un bimbo che va al lunapark per la prima volta. La sensazione è quella di camminare sulla luna, in un mondo differente e lontano da tutto ciò che siamo abituati a vedere. La sorpresa è resa ancora più piacevole dal fatto che parlando con un’americana qualche settimana prima, ci aveva riportato la sua esperienza del salar. Ce lo descriveva come niente di speciale, dove secondo lei non valeva la pena passare del tempo.  Ecco che spesso e volentieri ci guardavamo tutti e quattro fino a che qualcuno sussurrava: Americansky!!!
Guidare sulla superficie candida del salar è un’esperienza da provare, è un misto di cautele come se si stesse guidando su del ghiaccio fragile e di sensazioni come se si stesse andando per mare. Qualcosa scorre sotto le ruote ma non si ha la percezione di essere su strada e soprattutto sembra a volte quasi di non muoversi affatto tanto tutto è così bianco luminescente. Spesso viaggiando in questi luoghi, si è talmente presi dal fare fotografie e commentare cose, che non ci si riserva nemmeno un momento per se stessi. Anche solo per pensare. Credo sia stata proprio quest’esigenza che dopo la ns prima notte passata in un piccolo villaggio disabitato e costruito interamente di sale, mi abbia fatto svegliare quando ancora il sole non era sorto. Vestito qualche indumento pesante ed un berrettino, mi sono incamminato verso l’alba, in un paesaggio che incarnava la sensazione di essere in un deserto, soli e vivi.
Al primo sentore del “forse mi sto allontanando troppo”, mi accorgo che sono seguito da un cagnolino. Il villaggio è lontano e quasi si confonde con le montagne, la linea dell’orizzonte davanti a me comincia ad illuminarsi di una luce rossa come il fuoco. Decido di sedermi in quello che per me era un deserto, ma appena trovo la tranquillità di guardare veramente, mi accorgo di non essere solo. Con il mio nuovo amico che sembra volermi far da spalla, scopro di essere stato seguito da un gruppo di lama in cerca di cibo (fortuna sono erbivori), e davanti a me le più rare Vicugne. Assomigliano a delle antilopi della savana ma non sono semplici da avvistare e soprattutto da avvicinare. Mi sento in pace con l’ambiente, ed è possibile che anche lui lo sia nei miei confronti, legato a questo pensiero, mi fondo all’alba che verrà.
Se il giorno si può dire essere ben cominciato, beh mai mi sarei immaginato di quanto la grande bellezza di questo luogo avrebbe continuato a farmi sentire speciale e fortunato di esserci. Lasciato il sale cominciamo ad addentrarci nel deserto di pietra, fino al confine con il Cile. Contornati da immensi vulcani e lagune iridescenti piene zeppe di fenicotteri, quasi viene a farci male il dito che preme sulle nostre macchine fotografiche. Ed ancora una volta mi accorgo di come la tecnologia ci abbia portati a volere immortalare e condividere ogni singolo momento, tanto da farci vivere quasi immediatamente nel ricordo di quell’attimo scattato poco prima. Ancora una volta, ripongo la mia macchinetta nello zaino, mi siedo, respiro.
Vivere il presente come non dovesse finire mai, non è l’unica cosa da ricordare nel mentre si visitano luoghi incredibili come questi. Infatti a volte, si finisce per dimenticare dove siamo. Le tecnologie, la conoscenza e la macchina del turismo, fanno sembrare questi luoghi raggiungibili da tutti. Tanto da non creare nessun senso di pericolo o anche solamente percezione di dover prestare attenzione a qualcosa in particolare. Ecco che spesso capita di vedere turisti che camminano e saltellano a caccia della foto da urlo, nel bel mezzo di Geyser in piena attività, o che vogliono fare le cose fighe e decidono di attraversare il deserto in bici e calcolano le provviste in base ai km da percorrere pedalando….senza considerare che più della metà del deserto è fatto di una ghiaia fine che fa sprofondare le ruote per più di mezzo metro rendendo impossibile l’avanzamento se non spingendo il proprio ciclo. Lo sanno bene i nostri due amici Italiani a cui abbiamo regalato cibo ed acqua nel mezzo del niente e ad ore (di macchina) dal primo paesino disabitato dove potersi riparare dia -15°C che qui piombano giù appena dopo il calar del sole. Ma senza andare tanto a guardare le grandi emozioni, ce ne sono alcune di piccole ed insignificanti, come fare una corsetta di venti metri per vedere chi arriva prima alla macchina, che ci è mancato poco non lasciasse Annika ed Alice vedove dei loro compiantissimi uomini soffocati dalla mancanza di ossigeno. Prima regola del viaggiare al salar: il tragitto si svolge tra i 2800 ed i 5200 metri di altitudine. Quindi niente corsette e d’obbligo una borsetta di foglie secche di coca che potrete comprare da qualsiasi fruttivendolo e che vi aiuteranno a far passare il mal di testa da altitudine.
Nonostante siamo lontani dal mare…il nostro motto: “ Stay salty!!!” rimane sempre un must.   


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